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Microplastiche negli oceani: cause ed effetti

Microplastiche negli oceani - A2A

Le microplastiche negli oceani sono inquinanti non biodegradabili di pochi millimetri, che si accumulano negli ecosistemi marini causando danni gravissimi all’ambiente. In che modo possiamo ridurre il nostro impatto sulla biodiversità e gli ecosistemi marini? Come Life Company, desideriamo fornire a tutti gli strumenti necessari per condurre uno stile di vita più sostenibile, ma il primo passo parte da ciascuno di noi.

Le microplastiche provengono solitamente da beni di consumo come borse, imballaggi, vestiti, bottiglie e cosmetici, ma anche dagli imballaggi come le buste di plastica e dai rifiuti delle attività ittiche come il nylon delle reti da pesca. L'occhio umano spesso non è in grado di vedere questi residui plastici, eppure mentre ci godiamo le vacanze al mare dovremmo tenere a mente che spesso ne siamo circondati.

Le microplastiche sono materiali di scarto in decomposizione inquinanti non biodegradabili, frammenti piccolissimi dei prodotti in plastica con un diametro da 330 micrometri a 5 millimetri. Vediamo in che modo le microplastiche danneggiano l’ecosistema marino, qual è la situazione degli oceani e quali accorgimenti possiamo adottare per ridurre l’inquinamento degli oceani dalla plastica attraverso scelte sostenibili e responsabili.

Come arrivano le microplastiche nel mare e quante sono

Si stima che, dal 2000 in poi tra le 4 e le 14 tonnellate di plastica siano finite in oceani e corsi d'acqua ogni anno, mentre tra tutta la plastica in mare il 6% potrebbe essere composto proprio da microplastiche. Una quantità che ha già superato la soglia massima di inquinamento, che secondo il WWF potrebbe addirittura quadruplicare entro il 2050. Per Greenpeace, a livello globale sono almeno 8 milioni le tonnellate di plastica che finiscono negli oceani ogni anno.

In un recente report, gli analisti ritengono che la crescita prevista dell’inquinamento marino da plastica comporterà in molte aree rischi ecologici significativi. La massa (in peso) di tutta la plastica presente sul Pianeta, infatti, corrisponderebbe attualmente al doppio della biomassa totale degli animali terrestri e marini messi insieme. Secondo l’ONU, nei mari ci sono 51 mila miliardi di particelle di microplastica, un numero superiore di oltre 500 volte a quello delle stelle presenti nella nostra galassia.

Anche il Mar Mediterraneo non è immune da questa problematica. Secondo gli specialisti, nelle sue acque si trova la più alta concentrazione di microplastiche (1,9 milioni di frammenti per metro quadrato), causata soprattutto dalle attività costiere e da una gestione inefficiente dei rifiuti. Allo stesso modo, hanno un impatto considerevole anche le attività in mare come pesca intensiva, acquacoltura e navigazione, che provocano la dispersione in acqua di nasse, reti e cassette per il trasporto del pesce.

Secondo alcune ricerche, finiscono nel Mediterraneo 229 mila tonnellate di plastica ogni anno. Per fare un paragone, si tratta di una quantità pari a quella di 500 container che quotidianamente scaricano in acqua il proprio contenuto. Sono numeri piuttosto eloquenti, se si considera che l'Europa è il secondo maggiore produttore di plastica dopo la Cina. Nei mari europei, infatti vengono rilasciati da 300 a 900 milioni di rifiuti l’anno, composti per l’82% da plastica, un problema che oggi è considerato priorità dall’Unione Europea.

Quali microplastiche ci sono nel mare?

Secondo un approfondimento del Parlamento Europeo sul problema dell’inquinamento di mari e oceani dalle microplastiche, è possibile suddividere queste particelle in due categorie principali:

  • le microplastiche primarie sono rilasciate nell’ambiente in forma di piccole particelle e rappresentano il 15-31% del totale delle microplastiche nell’oceano;
  • le microplastiche secondarie provengono dalla decomposizione e dalla degradazione dei prodotti plastici finiti nell’oceano, oggetti più grandi che producono minuscoli frammenti di rifiuti plastici con un diametro inferiore a 5 millimetri, costituendo il 68-81% delle microplastiche.

L’origine delle microplastiche è legata allo smaltimento scorretto di oggetti di grandi dimensioni come buste di plastica, reti da pesca e bottiglie PET, ma anche allo sversamento in mare dei residui del lavaggio dei capi sintetici, l’abrasione degli pneumatici durante la circolazione stradale e le microplastiche che finiscono nel sistema di fognatura contenute nei prodotti per la cura del corpo.

Che effetti produce la plastica negli oceani

Innanzitutto, le microplastiche causano danni ingenti ai pesci: sono oltre duemila le specie marine a contatto con la plastica, particelle che vengono ingerite anche da circa il 90% degli uccelli marini e dal 52% delle tartarughe marine. Tra le conseguenze dirette ci sono l’intrappolamento dei pesci negli oggetti di plastica più grandi, come i resti delle reti da pesca, il soffocamento per l’ingerimento di piccoli frammenti di plastica scambiati per pesci, oppure l’ingestione delle microplastiche.

Quest’ultima è una condizione che può causare tossicità all’apparato digerente e riproduttivo degli animali, inoltre tramite la catena alimentare le sostanze tossiche ingerite dai pesci danneggiano anche l’essere umano quando finiscono nelle nostre tavole alimenti contaminati. Secondo l’Ispra, circa il 15-20% delle specie marine che consumiamo sono inquinate dalle microplastiche, sostanze che interferiscono con il nostro sistema endocrino e possono causare seri rischi per la salute.

Come ripulire gli oceani dalle microplastiche

Naturalmente, scienziati e ricercatori sono al lavoro per arginare questa situazione, con diverse le soluzioni innovative il cui obiettivo è ripulire mari e oceani dalle microplastiche. Tra i progetti più promettenti ci sono:

  • il giovane olandese Boyan Slat ha brevettato un sistema di galleggiamento passivo, un tubo di polietilene di 1,2 metri di diametro e 600 di lunghezza, che adagiandosi sulla superficie dell’oceano forma una U e funge da barriera contro le microplastiche. In questo modo il tubo, sospinto dalle correnti, riuscirebbe ad ingoiare la plastica fino a circa tre metri di profondità. Superata la fase "beta", si prevede il rilascio in mare di una sessantina di barriere, destinate a raccogliere oltre 13 milioni di chili di plastica in un anno;
  • la società svedese Alfa Laval, invece, in collaborazione con diverse università, ha finanziato, installato e messo in funzione un bioreattore a membrana (MBR) pilota, un sistema con una precisione di filtrazione di gran lunga superiore al diametro delle reti o dei filtri solitamente utilizzati nelle reti a strascico;
  • tra le invenzioni per ripulire gli oceani dalle microplastiche c’è anche il drone WasteShark, che con un costo contenuto e senza emissioni di gas serra raccoglie in maniera autonoma plastica ed altri rifiuti durante la navigazione;
  • il Seabin Project, invece, ha messo in campo dei cestini galleggianti che catturano mozziconi di sigarette, microfibre e microplastiche risucchiando l’acqua e filtrandola.

Altri ricercatori hanno ideato dei minuscoli robot grandi quanto un globulo rosso, dei dispositivi magnetici in grado di produrre una reazione chimica se colpiti dalla luce solare: muovendosi in acqua si aggrappano ai pezzetti di plastica che incontrano e li distruggono.

Dalla Cina, invece, arriva un robot a forma di pesce lungo appena 13 millimetri ma ultra resistente, in grado di trasportare fino a 5 chili di rifiuti plastici. Il suo scopo è assorbire le microplastiche di polistirene e trattenerle, per poi essere raccolto dagli operatori insieme al suo carico di prodotti inquinanti.

Accorgimenti utili per ridurre le microplastiche

Nonostante le soluzioni innovative ideate per rimuovere le microplastiche dagli oceani, è fondamentale agire in modo consapevole e responsabile e ridurre i rifiuti plastici che finiscono in mari e oceani. Come Life Company, desideriamo sensibilizzare le persone ad adottare stili di vita più sostenibili, promuovendo azioni positive per l’ambiente e la società. Ad esempio, è importante fare bene la raccolta differenziata e limitare l'utilizzo di prodotti in plastica, per diminuire i rifiuti che possono finire negli ecosistemi marini e nei corsi d’acqua, adottando un approccio plastic free e preferendo beni di consumo con un packaging sostenibile.

Ciò può avvenire modificando le abitudini di tutti i giorni (qui trovi alcuni semplici consigli), ma anche ad un livello superiore, come ha dimostrato l’Italia recependo la direttiva europea e vietando i prodotti in plastica monouso. Soltanto con l'aiuto di tutti si riuscirà a proteggere e aumentare la biodiversità, riducendo la produzione e l’uso della plastica a livello globale.

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